Alla Fondazione Bizzarri di San Benedetto del Tronto, sotto la coordinazione di Marco Bruni dell’associazione culturale ICare, si è svolta la composta presentazione del libro Apologia del piano B di un Emanuele Properzi versione professore universitario, un po’ pezzente e un po’ saccente (col cappottino stile avvocato del diavolo).
Properzi ha sviluppato la presentazione secondo una nuova formula, con esposizioni multimediali e illustrazioni di foto e video.
Properzi ha poi proiettato la foto della vacanza originale, quella che avrebbe voluto come copertina originale del romanzo poi soppiantata dalla foto selezionata e ricamata dal vignettista di Smemoranda, Marco Marilungo.
Properzi, per la prima volta in assoluto, ha pure proiettato un video originale della vacanza, quello in cui all’interno del taxi, quattro guerrieri mezzi ubriachi si fanno prende per il culo da un tassista ungherese che anziché portarli in discoteca, ovvero dove vogliono andare tutti ad ammazzare scempiamente la serata, li vuol portare in un lurido night-club, locale che assolda il taxi per questa squallida promozione coercitiva.
Properzi ha infine parlato del suo personaggio preferito nel romanzo, ovvero il mitico kazako. Quella sottospecie di essere umano che fuma più sigarette di ogni altro essere della sua stessa razza ed etnia, e che riesce a dormire soffocandosi e sopravvivendo nello stesso tempo.
Tratto da Apologia del piano B
«Anch’io sono pronto» è Simone che si è appena scollato dal talamo sui cui era inchiodato. Di sfuggita il mio sguardo cade su di lui, e… ma come cazzo è vestito?
Indossa una vecchia maglietta maculata da buchi di tarli su cui campeggia vittoriana la scritta Natural Food. A coprire parzialmente le gambe un braca argentata modello Germania-campione-del-mondo-Italia90, calzata a livello ascellare col fine di evocare fantozziane memorie. Ai piedi due ciabatte De Fonseca, consumate sino all’osso, con stringa in velcro a fasciare senza convinzione il collo del piede. A cingere la vita un marsupio così logoro che pare che se l’è portato in nave in una dozzina di viaggi transoceanici in cui ha dormito nella stiva tra detriti e clandestini.
Con la testa rasata, le spalle grandi, il baricentro basso da atleta veloce negli spazi brevi e il suo vestire spartano mi sembra…
«Simone mi sembri un… un kazako».
Dal background del covo emergono spontanee risate.
«Sì, il kazako, forte. D’ora in poi lo chiameremo sempre così: il kazako». A Michele è piaciuto il nomignolo ed entusiasta arriva anche lui a richiedere la sua razione giornaliera di bollicine.
Verso a tutti e brindiamo. Champagne!
«Un ringraziamento al padrone di casa. Alzate le coppe in onore del tiranno di Budapest».
E così sistemiamo anche Alberto. Da oggi lui sarà il tiranno e Simone il kazako.