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Questa sera, un paio d’ore fa, ho conosciuto uno dei personaggi più criticati, disprezzati e famosi degli ultimi anni in Italia: Fabrizio Corona. Lui potrebbe essere un perfetto protagonista di un mio nuovo romanzo sul genere di Apologia del piano B.
Corona potrebbe essere uno dei peggiori.
I peggiori, così come li ho amati definire nel mio romanzo, sono un manipolo di trentenni che non brillano per le loro condotte morali ma che in ogni caso sono… normali. I peggiori sono loro. I nostri normali vicini di condominio che scaricano cocaina nelle fogne. I colleghi normali con cui ci telefoniamo tutti i giorni parlando di lavoro e a sprazzi anche di José Mourinho. I normali assessori del comune che usano la politica solo per pompare il proprio ego. I normali medici degli ospedali che corrompono i fornitori di attrezzature medicali. I cuochi normali avvezzi alla gastronomia fecale.
Esseri normalmente protagonisti delle nostre esistenze intersecate.
Corona ha gli occhi scavati. La prigionia trasuda dal suo sguardo. Il carcere brucia nel suo corpo da guerriero. Mentre mi chiedeva di cosa tratta Apologia del piano B, sembrava che, anziché addentrarsi in contenuti letterari, avesse solo voglia che arrivasse il giorno dopo per allenare duramente il suo corpo.
Un corpo privo di grasso – con le fibre muscolari toniche, scuro come la pece e intarsiato di tatuaggi – non serve a se stesso ma serve all’anima che risiede nel medesimo corpo.
Corona, prima di farlo con la parola e poi con le azioni, vuol mostrare a tutti quanto sia inattaccabile dall’esterno mostrando il proprio corpo da guerriero, da uomo di sudore, di sofferenza fisica e di costanza assidua.
Un invincibile vuol mostrare di essere.
Mai sconfitto.
INVICTUS.
Apologia del piano B è un romanzo dove non trapelano giudizi morali. E’ una storia che viaggia negli angoli più scomodi degli istinti umani senza metterci mai bocca. Il libro che ho scritto ascolta in silenzio il rumore fastidioso dei suoi protagonisti e le note dolci che talvolta riverberano nelle pagine. Alla stessa maniera ora sto scrivendo di Corona: osservandolo solo per il tempo che abbiamo condiviso insieme questa sera senza sbilanciarmi su ciò che sarebbe facile dire di lui.
Mentre lui mi chiedeva se il mio romanzo fosse biografico, denotavo in lui un’indagine che stava facendo su di me. Penso che stesse cercando di capire se io possa essere una persona che può sorvolare quei livelli idonei a gente con i coglioni. Gente come crede di essere lui, insomma. Lui mi guardava chiedendosi se questo scrittore grosso come un granatiere fosse uno che si ammazza di pugnette di fronte al computer o è uno che ha i coglioni.
Frattanto che lui pensava questo di me (e di ciò ne sono sicuro), incrociando il suo sguardo, io pensavo al carcere. La vita dentro una cella. Le immagini di un film recente mi sono così tornate in mente.
Nelson Rolihlahla Mandela nel 1962 fu rinchiuso in una misera cella carceraria per dissidenza politica. Nel 1985 rifiutò la libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta armata. Nel 1990, Dopo 28 anni filati di carcere, Mandela fu liberato. Nel ’94, dopo il Nobel, divenne presidente del Sudafrica.
Quest’uomo ha resistito per 28 anni in una cella del carcere ripetendosi in continuazione una poesia in cui si convinceva di essere il padrone del proprio destino e il capitano della propria anima.
Per decenni Mandela non ha fatto altro che convincersi di essere invincibile.
Dopodiché la sue vicende sentimentali sono state un disastro come lo sono state la lotta superficiale che ha condotto contro l’AIDS nel suo paese e la gestione politica di molte altre questioni all’insegna del pressappochismo.
Tuttavia, aldilà di ogni giudizio morale che siamo tutti in grado di sfornare in tempi rapidi, esistono esseri umani che da un momento all’altro decidono di essere invincibili, e cristo d’un dio, da quel punto in poi solo un proiettile può distoglierli dalla loro convinzione primaria.
Molto spesso questa tipologia di uomini hanno gli occhi scavati.
Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio qualunque dio esista
per l’indomabile anima mia.
Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.
Tratto dal film Invictus